La cittadinanza italiana. Tra principi generali e quadro normativo di riferimento. 

24.07.2020

Nell'ambito del diritto internazionale, la richiesta di assistenza legale volta al riconoscimento o alla risoluzione delle controversie relative alla cittadinanza - sia essa italiana o di qualsiasi altro Paese intra o extraeuropeo -  rientra tra le più frequenti.

Ed è per questo che diviene fondamentale sapersi destreggiare nella burocrazia. Finanche conoscerla nel miglior modo possibile. 

Nelle righe che seguono principi generali e quadro normativo di riferimento. 

Secondo una regola generale, quasi tutti gli ordinamenti dei diversi Paesi prevedono che possa attribuirsi la cittadinanza secondo due principi non necessariamente esclusivi o contrastanti: lo ius soli e lo ius sanguinis.

Quanto allo ius soli prevede l'attribuzione della cittadinanza di un determinato Stato per il semplice fatto di essere nati in quello Stato, esulando dalla cittadinanza dei genitori e dalla regolamentazione prevista per la trasmissione della cittadinanza al figlio. Indubbiamente, l'applicazione pratica del principio anzidetto può subire delle limitazioni basate su disposizioni ulteriori o sull'assoggettamento a determinate condizioni; ciononostante resta vincolata alla nascita che si sia verificata nel territorio dello Stato.

Di diversa impostazione è lo ius sanguinis che prevede l'attribuzione della cittadinanza facendosi esclusivamente riferimento alla discendenza diretta da un soggetto in possesso della medesima cittadinanza. Ad esemplificare: il padre di origini italiane trasmette la cittadinanza italiana al figlio indipendentemente dal luogo in cui - fattivamente - si verifichi l'evento nascita. Come per lo ius soli, anche questo tipo di riconoscimento può subire delle limitazioni ma resta comunque connesso alla discendenza da un avo che possegga quella determinata cittadinanza.

Entrando nel vivo della questione italiana, ivi opera da sempre il principio della cittadinanza italiana basata sullo ius sanguinis, come previsto dalla legge n. 555/1912 e come confermato dalla legge 92/1991 - tanto che lo ius soli è previsto come ipotesi meramente residuale, allo scopo di evitare i casi di apolidia.

Si può affermare, pertanto, che nel nostro Paese la cittadinanza italiana è sempre stata attribuita ed è attribuita sulla base di una discendenza di sangue (iure sanguinis) senza che sussista alcun limite generazionale rispetto al soggetto che la rivendica. Ovvero: la cittadinanza italiana può derivare anche da un cittadino italiano "vecchio" di tre o quattro generazioni purché questo sia nato sul territorio italiano nel XIX secolo e sempre che sia deceduto dopo la data del 17 marzo 1861 (proclamazione del Regno d'Italia).

Questa situazione tutta italiana rappresenta un'innovazione ed una peculiarità rispetto agli altri Stati che privilegiano il principio dello ius sanguinis e che riconoscono il possesso della cittadinanza soltanto fino ad una determinata generazione risalendo all'indietro. In Italia, infatti, non vengono posti dei limiti ed è consentito "risalire" - ai fini del riconoscimento - fino ad un cittadino italiano nato anche più di 150 anni fa. Quest'impostazione, volta a riconoscere perfino nell'avo più ancestrale le origini italiane senza limiti di tempo, presenta inevitabilmente una criticità in quanto consente a qualsiasi cittadino extraeuropeo odierno il diritto di rivendicare il possesso della cittadinanza italiana, di ottenerne il riconoscimento e di godere degli inevitabili vantaggi che ne conseguono.

Appare doverosa una precisazione.

Laddove nel prosieguo si indichi riconoscimento della cittadinanza italiana, dovrà intendersi essere una fraseologia abbreviata del concetto di "riconoscimento per possesso ininterrotto della cittadinanza italiana, del nostro status civitatis": è necessario riconoscere che un soggetto è sempre stato un cittadino italiano sin dal momento della sua nascita - momento in cui fu trasmessa la cittadinanza italiana di un genitore - e che vi sia stato un possesso mai venuto meno.

E ancora. È necessario enfatizzare la differenza intercorrente tra il riconoscimento e l'acquisto della cittadinanza italiana. Quest'ultima è intesa come diretta conseguenza di ipotesi e possibilità ulteriori previste dalla normativa (e.g. acquisto della cittadinanza italiana come conseguenza diretta del matrimonio celebrato con cittadino italiano).

Tutte le ipotesi ulteriori, infatti, si trovano in una posizione diametralmente opposta a quella del riconoscimento della cittadinanza rappresentando le stesse un limite netto e preciso alla possibilità di applicare le soluzioni più favorevoli che sono previste per chi sia sempre stato cittadino italiano. Nel caso di acquisto della cittadinanza italiana si dovranno applicare esclusivamente le disposizioni previste per quella determinata fattispecie non potendosi applicare la procedura prevista dalla circolare del Ministero dell'Interno n. k.28.1 del 1991.

Si tratta, quindi, di prendere atto del fatto che il riconoscimento e l'acquisto della cittadinanza seguono percorsi differenti che sono disciplinati, talaltro, da normative differenti: mentre nel caso di acquisto debbono essere rispettate le indicazioni contenute nella L. 91/92 - soprattutto per quanto concerne la procedura volta all'emissione del provvedimento da trascriversi nei registri della cittadinanza -, inversamente il riconoscimento non richiede un atto finale di attestazione posto che la conferma avviene per mezzo della trascrizione nei relativi atti di stato civile.

Ma v'è di più. 

Nel Massimario del Ministero dell'Interno, al paragrafo 4.1 cpv. 6, è distintamente indicata l'inutilità dell'attestazione nella misura in cui statuisce che "la documentazione formata all'estero allegata all'istanza per il riconoscimento della cittadinanza italiana (secondo il combinato disposto dell'art. 1 della L.91/92 e dell'art. 16, comma 8, del D.P.R. 572/1993) deve essere legalizzata, salvo che non sia previsto l'esonero in base a convenzioni internazionali ratificate dall'Italia, e munita di traduzione ufficiale in lingua italiana"

È il Ministero stesso a specificare la non necessarietà dell'attestazione in caso di avvenuto riconoscimento della cittadinanza italiana.

Sulla base di quanto anzidetto risulta impossibile cadere in confusione tra acquisto e riconoscimento atteso che - in quest'ultimo caso - ci si trova di fronte ad un soggetto che sin dalla nascita è stato cittadino italiano, che richiedere di essere riconosciuto come italiano sempre stato tale e al quale non può assolutamente applicarsi alcuna delle disposizioni previste per l'acquisto della cittadinanza italiana cui alla L. 91/92 facente riferimento ad un soggetto originariamente in possesso di altra cittadinanza.

La disparità tra le due fattispecie si manifesta anche dal punto di vista giuridico: infatti, in caso di ius sanguinis, ai sensi dell'art. 19 della L. 218/1995, verrà applicata solo ed esclusivamente la legge italiana, mentre nell'ipotesi dell'acquisto della cittadinanza sarà necessario valutare l'applicazione della legge italiana o straniera secondo quanto disciplinato dal diritto internazionale privato.

Entrando nel vivo del quadro normativo di riferimento, non ci si può esimere dal prendere in considerazione tutte le disposizioni in materia.

In primis, la L. 555/1912 contenente la disciplina sulla cittadinanza italiana - pienamente applicabile sino all'entrata in vigore della L. 91/92 - ed ancora interamente applicabile a tutte le vicende verificatesi nel periodo di vigenza. Per cui per comprendere se un soggetto potesse considerarsi cittadino italiano, è necessario verificare se sia nato in Italia o se sia divenuto italiano in un momento successivo, ovverosia se si sia trasmessa la cittadinanza per discendenza oppure se si tratti di un acquisto avvenuto come diretta conseguenza di determinate situazioni.

In secundis con la sentenza della Corte Costituzionale n. 30/1983 viene dichiarato incostituzionale l'art. 1 della L. 555/1912 nella misura in cui prevedeva la trasmissione della cittadinanza italiana solo ed esclusivamente per via paterna, integrando la norma con la previsione di una trasmissione anche di derivazione materna. L'attribuzione della cittadinanza italiana ai figli di madre italiana nati successivamente alla data del 1 gennaio 1948 avviene secondo le disposizioni stabilite per i figli di padre italiano.

Si ricorda poi la L. 123/1983 mediante la quale si dà applicazione ai principi contenuti nella sentenza di cui al concetto precedente per tutti coloro che avevano raggiunto la maggiore età al momento dell'entrata in vigore della L. 123/1983. In particolare, l'art. 5 stabilisce che "è cittadino italiano il figlio minorenne, anche adottivo, di padre cittadino o di madre cittadina. Nel caso di doppia cittadinanza, il figlio dovrà optare per una sola cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età". Coloro che fossero in possesso di una o più cittadinanze per derivazione e minorenni al momento dell'entrata in vigore della L. 123/1983, sono stati tenuti fino alla data del 17 maggio 1986 all'opzione come prevista dal comma 2 dell'art. 5 della legge medesima ("Nel caso di doppia cittadinanza, il figlio dovrà optare per una sola cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età"). Il termine per il diritto d'opzione è stato procrastinato dalla L.180/1986 che ha anche conferito la possibilità - a coloro che avessero perso la cittadinanza per mancata opzione - di riacquistarla mediante un'apposita dichiarazione.

Rimarchevole è la Circolare del Ministero dell'Interno n. k.28.1 del 1991 risultata uno strumento prezioso ed indispensabile volto ad individuare gli adempimenti e la procedura utile ai fini del riconoscimento del possesso ininterrotto della cittadinanza.

Quanto poi alla L. 92/1991 è considerata l'attuale disciplina in tema di cittadinanza che trova applicazione, anche nel caso del riconoscimento della cittadinanza, per i discendenti di un avo italiano nati dopo l'entrata in vigore della suddetta legge.

In ultima analisi, meritano attenzione la Circolare del Ministero dell'Interno n. 28/2002, la Circolare del Ministero dell'Interno n. 32/2007 e la Sentenza della Corte di Cassazione n. 4466/2009.

Nella prima viene disciplinata d'iscrizione presso i registri anagrafici dei discendenti di cittadini italiani per nascita - possessori di permesso di soggiorno - a prescindere dalla durata dello stesso e del titolo per il quale è stato concesso ("il cittadino straniero di origine italiana può ottenere la residenza in un comune italiano anche producendo il permesso di soggiorno turistico e la documentazione, tradotta e legalizzata, comprovante le origini italiane iure sanguinis"). Come conseguenzadi tale iscrizione, il soggetto otterrà la trasformazione del permesso di soggiorno turistico in quello recante la motivazione "in attesa del riconoscimento della cittadinanza italiana".

Nella Circolare n. 32/2007 viene stabilito che gli stranieri che non provengano dall'Area Schengen (i 26 Stati europei che, in base all'acquis di Schengen, dopo aver abolito i controlli sulle persone alle frontiere comuni, le hanno sostituite con un'unica frontiera esterna che ha permesso loro di funzionare - dal punto di vista dei viaggi internazionali - come un unico Paese) debbano formulare la dichiarazione di presenza al questore, entro 8 giorni dall'ingresso.

Tale ricevuta non solo consente allo straniero di soggiornare regolarmente in Italia per un periodo di 3 mesi ma costituisce anche un titolo utile ai fini dell'iscrizione anagrafica di coloro che intendano avviare la procedura per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis.

Per concludere si ricorda la Sentenza della Corte di Cassazione n. 4466/2009 per mezzo della quale viene stabilito - esclusivamente per mezzo della via giudiziale - il diritto al riconoscimento della cittadinanza anche ai figli di cittadina italiana nati prima del 1 gennaio 1948.

Abogado Sarah Silvestri
Immigration Attorney

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